Dicono di noi​:
«“Moai” suona per 42 minuti e 57 secondi in 11 tracce, portandoti in giro per lande desolate a respirare aria fresca, di quella che non trovi più tanto spesso in città, di quella che devi prendere uno zaino in spalla e iniziare a camminare sorridendo verso sconfinati spazi verdi che si perdono fino al grigio intenso dell’orizzonte laggiù in fondo, dove con gli occhi cadi nel mare che spumeggia contro le scogliere. Ti porta in Irlanda, molto spesso, attraverso brughiere fatte di sinuose colline erbose e di nebbia, incastrate tra la voce cristallina e soave di Valentina Comelli e gli arpeggi morbidi e delicati della chitarra di Matteo Mantovani, che si ritrova anche nei cori, “The house on the beach”, “Last moments on Earth”, dove il violino galoppa come il 17 marzo a Temple Bar, e senti bussare Dublino sulla tua spalla. Quasi una ninna nanna al miele la struggente “Waitin’”, che accarezza insieme ad altri brani le venature più intime e dolci di questo disco accompagnata da “My darling child”, e “Calla Lilies”, brano di chiusura. “So strange” e “Lullaby of the storm” sono due ballads molto ben costruite e arrangiate, impreziosite dagli altri elementi della band che accompagnano e arricchiscono l’intero lavoro, formando un organico di ben sette musicisti in totale. Il respiro si sposta negli States, mentre ascolti “(Got to tell you) Something” con l’organo e la chitarra elettrica carica di blues sporco o “Don’t Blame me”, mentre l’incedere crescente di “Turn the light off” è da gustare fino in fondo alla chiusura del brano, immaginando che anche Mark Knopfler stiracchi un sorriso ascoltando la Telecaster che suona così bene. Un bellissimo lavoro d’esordio per i MOAI, dal respiro internazionale, costruito con capacità, eleganza e coerenza, con stile e passione, delicato nei suoi testi evocativi e impregnati di intimità, di richiami verso la natura, verso i rapporti umani veri, semplici, puliti e sinceri, carichi di malinconia, carichi di vita.»
(https://www.rocknation.it/records/moai-moai/ )
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«MOAI è un progetto molto ambizioso di sette ragazzi bresciani, che nella prossima primavera usciranno con il primissimo e omonimo lavoro in studio. L'idea, nata dalle menti di Valentina Comelli e Matteo Mantovani, prende forma in un disco composto da undici brani che affondano le loro radici nel cantautorato folk americano.
Il lavoro si apre con The house on the beach, una folk ballad intensa e malinconica, nella quale la melodia restituisce l'immagine di una band già artisticamente molto matura. La voce della Comelli, inoltre, è di una dolcezza rassicurante, praticamente perfetta. Stesso discorso per September, brano leggermente più ritmato ma allo stesso tempo di una morbidezza raffinata. L'atmosfera intima di Waitin' e quella più svagata e sviolinata di Lullaby of the storm ci portano nelle arterie di un disco che supera a pieni voti la prova dell'esordio. Punta di diamante del disco è Last moments on earth, classico brano da inserire a tradimento in una di quelle playlist da ascoltare da soli all'alba.
MOAI sarà una piacevole e malinconica sorpresa di questa prima parte del nuovo decennio made in italy, una danza dolcissima che arriva facilmente al cuore.»
(https://www.rockit.it/recensione/46578/moaiofficial-moai )
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«Esordio molto bello quello dei bresciani MOAI, un gruppo di sette musicanti (due ragazze e cinque ragazzi), che hanno preso il nome non dalle fantastiche statue dell’isola di Pasqua, come si potrebbe credere, ma dalle reti di famiglie allargate tipiche di Okinawa, dove per vivere meglio (e più a lungo) ci si aiuta a vicenda all’interno di micro-comunità. Molto curioso che questi ragazzi bresciani l’abbiano preso ad esempio, ma ancora più curiosa la musica che fanno. Un indie-folk cantautorale con venature di blues, rock, irish, che conquista al primo ascolto. Undici pezzi dove la voce celestiale di Valentina viene accompagnata, anzi si fonde, tra chitarre, violino, mandolino, tastiere, contrabbasso, batteria. Il risultato è grande musica, che dal vivo deve fare ancora più impressione. MOAI è un nome promettete e curioso da segnarsi sulla Smemoranda.»
Indie a primavera (D. Alligatore), Smemoranda.it
(https://www.smemoranda.it/ubba-bond-chris-obehi-recensione/)
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«Sette giovani di Brescia (due ragazze e cinque ragazzi), che hanno fatto un disco stupendo. Indie-Folk dalle venature blues, irish, e anche rock, con rimandi a Dylan, Damien Rice, Chris Isaak ...ne volevo parlare da mesi(...). Ve ne consiglio caldamente l'ascolto, dopo avere letto nel Blog dell'Alligatore l'intervista con Valentina, soave voce della band(...)»
«Molto piacere ospitare in palude i MOAI, bel gruppo di Brescia con questo particolare esordio. MOAI che fa pensare all'isola di Pasqua, ma che in realtà ha un altro significato ... molto bello: in sintesi una piccola comunità che si aiuta reciprocamente in quel di Okinawa, tra i popoli più longevi della terra (ma Valentina nell'intervista lo spiega molto meglio me, leggete, è molto interessante )... é bello che abbiano deciso di chiamarsi così per questo. (...)
Come è bello l'inizio del disco, The House on the Beach, con musica sinfonica che sembra un inno alla natura, e poi una voce soave di donna, Valentina, che non ci lascerà mai(...).
Gran disco con undici pezzi tra i quali è decisamente difficile scegliere un pezzo rispetto a un altro. (Got to tell you) Something è un gran bel blues delle paludi (non può non piacermi, è musica d'Alligatori). La band che suona come un solo uomo, un sound labirintico, tastiere in evidenza, le chitarre, il cantato unico... Altra canzone con il gruppo intensamente unito è My darling child. Fa pensare a Damien Rice, intenso, dolente, suonano come fossero uno, ma allo stesso tempo ognuno riesce a ritagliarsi il suo spazio, dagli archi alle chitarre, la voce...(...).
Grandi anche con Turn the light off, che sembra un classico del folk-rock al primo ascolto: voce/chitarra e violino dalle atmosfere dylaniane. Merita menzione anche Don't blame me con le tastiere a giocare con la voce e giri di chitarra magici...Il tutto molto isaakiano. Potrei dirvi anche di So strange e Lullaby of the storm due pezzi decisamente Irish, non solo per il violino, non solo per l'andamento classico, la malinconia. Molto suggestive. Come tutto il disco. Sì, l'esordio dei MOAI è molto suggestivo. Provate ad ascoltarlo e ditemi se non ho ragione...»
Diego Alligatore, Il Blog dell’Alligatore
(https://www.blogger.com/comment.g?blogID=6977202644584422409&postID=7718825609386207254)
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«Debut album per la band bresciana. (...) I Moai riportano il concetto d'insieme, la condivisione, nella loro musica dando vita ad un sound che fonda le proprie radici nell'Indie-Folk di matrice americana, ma che al tempo stesso sperimenta, muta, attraverso le contaminazioni più disparate: si passa dai suoni "primitivi" del Roots Rock, ai passaggi mistici e sognanti della musica Irish fino ad arrivare alle dimensioni eteree e moderne dell'Art Rock alla Florence and the Machine.
Sonorità diverse e lontane tra loro, ma che alla fine risultano in perfetta armonia grazie proprio a quel "Condividere" che fa da collante a tutto il disco.
Undici tracce che riflettono l'animo, le radici e le esperienze dei sette bresciani, undici tracce per esprimersi liberamente e sognare attraverso la musica. »
https://www.instagram.com/p/CCNuBOvKQOc/?utm_source=ig_web_copy_link
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«Prendete una serata, aggiungete una frescura piacevole e dell’ottima compagnia, amalgamate il tutto con note vibranti che scuotono l’anima, servite in un caldo e cordiale ambiente cosparso di sorrisi visibili nonostante le mascherine, otterrete una leccornia che non è possibile descrivere senza assaggiarla. Ma ci provo. Vi parlo dei Moai. Sono reduce da una delle esperienze più emozionanti degli ultimi tempi e giuro, non me lo aspettavo! Per quanto avessi già consumato il cd su Spotify e supporto fisico, sono rimasta ancora più affascinata da questa band dopo il live. Infatti, il palco è senza ombra di dubbio “la casa” di questi 7 musicisti/e che, oltre a confermare le capacità tecniche, sono stati/e in grado di donare tantissima energia ed emozione a tutti i presenti.
Fin dalle prime note ho sentito la pelle vibrare ed alzarsi a conferma delle mie emozioni, gli archi (contrabbasso e violino) ci hanno accolti a braccia aperte, l’arpeggio di chitarra sembrava invitarci ad addentrarci più in profondità per portarci alla soave e calda voce della cantante (Valentina Comelli). Da qui è davvero difficile per me parlarvi del concerto perché, esattamente come quando passi del tempo fantastico con qualcuno, ho l’impressione che sia volato via troppo in fretta, di non aver afferrato tutta l’essenza, di aver vissuto quasi troppo intensamente. (...). Il cd conta 11 tracce per la durata complessiva di 41 minuti circa. Si parte con
The house on the beach, gli archi iniziali sono un caloroso benvenuto e hanno il potere di sciogliere il cuore al primo ascolto, complice anche l’angelica voce di Valentina. Le immagini che il testo evoca sono potentissime e anche senza ascoltare il testo vi sfido a non visualizzarvi in un luogo magico e “libero” appunto, dalle oppressioni odierne.
Frase preferita: Rugged land smooth pines, fairy sirens, and olive trees, ancient winds raised me up, taught me how to breathe again.
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Terra aspra addolcita dai pini, sirene fatate e alberi d’ulivo, antichi venti mi hanno sollevato e mi hanno insegnato a respirare di nuovo.
September: è singolo che ha anticipato l’uscita del cd, ricordo ancora la prima volta che l’ascoltai. Percorrevo i viali alberati vicino al conservatorio, con il tramonto rosso fuoco e il vento fresco, inutile dire che quel momento era così bello e perfetto da commuovermi. Ogni volta che l’ascolto ritorno a quell’istante. Un brano che suona come una dolce coccola, capace di scuoterti, darti il sorriso e la speranza. Una delle mie preferite senza dubbio.
Frase preferita: Fingers crossed on neverending dreams and all you know to make sense of it all is that when the hearts of the ones you love is full it ends up to refill your heart as well. Wouldn’t it be wonderful to hold each other’s hand?
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Dita incrociate sui sogni che non hanno fine e tutto ciò che sai per dare senso a tutto è che quando il cuore di quelli che ami è pieno, finisce per riempire anche il tuo cuore. Non sarebbe meraviglioso tenersi per mano?
(Got to tell you) Something: Un sound che ci trasporta negli States, aspro e un po’ rude, il brano non le manda a dire. Il piano elettrico è prepotente, magnetico, impossibile restare fermi sulla sedia, alla guida, ovunque siate. La chitarra sottolinea perfettamente il mood del pezzo incalzando quando necessario. Tutto molto equilibrato e diretto. Ottima la performance del chitarrista che si dimostra anche un ottimo cantante.
Frase preferita: Got to tell you something, something you don’t know. Life can be so easy, man, if you just let it go.
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Devo dirti qualcosa, qualcosa che non sai. La vita può essere così facile, amico, se soltanto lasci perdere.
Waitin’: un brano agrodolce, in cui i sentimenti si aggrovigliano. Il sound è dolce ma ad un certo punto tutto si affievolisce, pochi secondi, un silenzio assordante, come quello dell’assenza di qualcuno che vorresti restasse al tuo fianco. Tutto è così morbido e duro allo stesso tempo. Leggete il testo e poi ditemi se riesce a comunicarvi esattamente le emozioni che racconta. Sublime.
Frase preferita: When are you coming home to me? I’m waitin’
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Quando tornerai a casa da me? Ti sto aspettando.
So strange: in un attimo mi sembra di stare in Irlanda, in mezzo ad un boschetto seduta davanti al fuoco. Mi sento a casa in queste note e parole, mi calzano meglio di qualsiasi abito abbia nel mio armadio. Il fischio all’inizio si incastonerà nella vostra memoria alla velocità della luce, la chitarra vi farà spuntare un sorriso istantaneo e alle parole ” You’re so strange” vi ritroverete come me. Arrendevoli e piacevolmente sorpresi di fronte a ciò che siete davvero.
Frase preferita: You’re so strange, no one understands why you stay in the corner, undefinable, unpredictable… Hard to say who you’re gonna be.
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Sei così strana, nessuno capisce perché rimani in un angolo, indefinibile, imprevedibile… Difficile dire cosa diventerai.
Lullaby of the storm: dondoliamo tra le braccia di una melodia che sembra raccontarci qualcosa in cui tutti possiamo ritrovarci. I pensieri, un temporale, la caducità delle cose. La vita sembra danzare assieme a noi e non possiamo fare altro che osservarla, arrenderci e prenderci un momento di riposo.
Frase preferita: Upcoming raining, time to give in. Stay in my arms now, lay here with me. Sleep, oh sleep on my chest, rest upon my skin. Sleep, oh sleep, here comes the night, darkness has no sin.
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La pioggia che arriva, tempo di arrendersi, rimani tra le mie braccia, adesso. Resta qui con me. Dormi, oh, dormi qui sul mio petto, riposa sulla mia pelle. Dormi, oh, dormi, ecco che arriva la notte. L’oscurità non ha peccato.
My darling child: struggente, gli archi introducono il brano in cui timidamente fa capolino la chitarra, come un bimbo che guarda oltre il suo naso per la prima volta. La voce racconta con dolcezza il passaggio del testimone ad una nuova vita, assicurandole che sarà la benvenuta sempre, augurandole di poter condividere il proprio cammino ma anche di essere abbastanza forte da camminare da sola.
Ps. durante il concerto mi è stato praticamente impossibile non commuovermi.
Frase preferita: I wish for you to share your precious time, but I wish for you to be alone, sometimes. You need to go deep down to find the spring that feeds the river of your soul.
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Ti auguro di condividere il tuo tempo prezioso, ma ti auguro anche di essere sola, qualche volta. Devi scendere in profondità per trovare la fonte che alimenta il fiume della tua anima.
Last moments on earth: un brano con sorpresa. Un minuto malinconico e dolce, la quiete prima della tempesta… e poi? Le melodie ci catapultano istantaneamente all’interno di una cornice coinvolgente che si può tranquillamente ambientare ancora una volta in Irlanda oppure in America. Farsi trascinare è un attimo, vi ritroverete a battere il tempo, muovere la testa e aver voglia di ballare.
Frase preferita: will you stand tall when the sky can’t help but fall? know you never lost your faith. Let me see out from the core in your last moments on earth.
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Resterai a testa alta se il cielo non può far altro che crollare? Oh, so che non hai mai perso la tua fede. Fammi guardare fuori dal centro, nei tuoi ultimi momenti sulla Terra.
Turn the light off: una canzone dalle atmosfere malinconiche, le percussioni sembrano ricalcare i suoni dei passi che facendosi strada tra i fallimenti, diventano sempre più pesanti. Mentre le melodie ci accompagnano in questo viaggio arriva il memento della rivalsa sottolineato dalla chitarra che ripete ostinata il suo canto, come a sottolineare l’eterna lotta, il non voler mollare anche se ogni tanto è bene spegnere la luce, dimenticare tutto per poi riaccenderla e avere più chiaro il cammino. Perché a volte quello che serve è solo un po’ di coraggio.
Frase preferita: Turn the light off. Waiter, can I have some nerve to drink? May you serve it on the rocks, please?
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Spegni la luce. Cameriere, posso avere un po’ di coraggio da bere? Con ghiaccio, per favore.
Calla Lilies: amo questa canzone, ha il potere di dire tutto con veramente poco. Una chitarra che accompagna egregiamente la voce. Incredibile come due semplici ingredienti siano in grado di comunicare così tanto. Ancora una volta Matteo (alla chitarra) ci delizia con la sua voce in un brano perfetto per concludere un’esperienza emozionante che sembra ricalcare come la carta copiativa i sali e scendi della vita. Accompagnandoci e ricordandoci che nelle promesse si può credere.
Frase preferita: Once I was a wasteland, a land where nothing grew. White calla lilies, and bloody empty rooms. I remember the day you came in and gathered up my doubts. Wherever I look since then, flowers are blooming all around. Calla lilies and I sometimes believe in promises.
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Un tempo ero una terra desolata, una terra dove non cresceva più nulla. Bianche calle e maledette stanze vuote. Ricordo il giorno in cui sei entrato e hai raccolto tutti i miei dubbi. Ovunque io guardi da quel momento, vedo fiori sbocciare tutto attorno. Calle e io qualche volta credo alle promesse
Ed eccoci qui, non so davvero se con le mie parole, racconti e aneddoti riuscirò a trasmettervi una piccola parte di ciò che ho provato incontrando il sound dei Moai. Non mi resta che invitarvi ad ascoltarli e dirmi la vostra e ovviamente a seguirli live prossimamente. »
https://persona360.it/consigli-ed-interviste/ascolti-360/ascolti360-vi-presento-i-moai/
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